Si sveglia sempre prima dell’alba,
come se la luce dilagasse nella sua mente prima che nel mondo. Non può perdere
tempo, deve alzarsi. Analizzare i sogni, mettere a punto il suo progetto. E’
all’alba che nascono le idee, tante, troppe, le dice un affettuoso detrattore.
E le idee, i sogni, sono maestri di piacere, ma spreco, spreco assoluto. Raccontano
di nulla come quelli di Mercuzio. Ma nel suo ci mette la stessa ostinazione che
aveva nei capricci di bambina. Tutto le si legge negli occhi, un piccolo
sentiero che porta altrove, una vena di follia che determina la sua
compulsione. Compulsione, appunto, ovvero la necessità irrefrenabile di
compiere un atto la cui mancata realizzazione sarebbe angoscia. E lei sostiene,
con allegra sicurezza, che per inseguire il proprio daimon, la compulsione è
fondamentale. Ne è fornita lei stessa in quantità patologica. Dunque è pronta
per la giornata. Il bosco delle rose l’aspetta. Il luogo della sua infanzia. La
terra promessa da creare. Anche Mosè doveva essere mosso dalla stessa mania
compulsiva, ma in fondo il suo compito era facile. Portare il popolo eletto
nella terra promessa, che qualcuno però aveva già predisposto per loro. Ma lei
no, dice ammiccando, lei deve crearla la terra promessa. Mosé deve obbedire a
un ordine, lei invece deve creare un disordine, un giardino in movimento, una
bella confusione, come le ha detto una piccola amica. E non le importa se, come
il Patriarca della Bibbia, non vedrà la sua creatura, anzi ne è felice perché
solo così la sua generosa follia è soddisfatta. Dunque, per tornare alla terra
promessa, ecco le piante. Le siepi miste per il passaggio dei gruccioni e delle
rondini dal volo elegante e la picchiata rapida verso il cibo. Ecco gli
insetti. Le api alle quali il susino mirabolano offre il pascolo con la
fioritura precoce. Poi si unirà nell’innesto per prugne e albicocche. E lo
stagno, nato dai filtri del pozzo, già riconosciuto dai rospi nei nascondimenti
e da vespe e libellule danzatrici a pelo d’acqua. E i prati naturali del biondo
tarassaco o più tardi del rosso sfacciato dei papaveri. Proteggere la fertilità
del terreno e favorire la con-fusione delle bio diversità di flora e
fauna.
Ogni giorno deve fermarsi vicino alla
siepe ad arco delle rose. C’è la rosa antica, dal nome evangelico “purezza”
figlia della storia. Mansuino, il primo ibridatore, l’ha creata dalla rosa
banxia, portata in Europa da Banx, nientemeno che il consigliere botanico di Re
Giorgio III di Inghilterra nei primi dell’800.
Ma nel giardino della terra promessa
il nutrimento viene dal bello e dal buono. E dunque il frutteto è la sua
creatura più desiderata perché oggetto di cure coerenti e sofisticate. Le
albicocche, le susine, le giuggiole, le pere. E le amarene, le più preziose,
perle scure e lucenti, profumate, pronte per la confettura indispensabile ai
dolci della festa. E a casa sua, quando era bambina, i dolci non erano per la
tavola familiare, ma per gli ospiti più attesi. La confettura, appunto,
mantiene intatto il frutto che non è annientato dalla preparazione e conserva
il marchio del terroir d’origine. E la coltivazione è rigorosamente biologica,
solo così può trattenere l’innocenza della frutta rossa, sprigionare nel palato
ricordi speziati di noce moscata, con retrogusto di cacao e di frutto
gradevolmente asprigno.
Puoi spalmarla sul pane integrale o
accostarla a formaggi a pasta dura o molle, ma riceve l’oscar per la migliore
attrice non protagonista nei dolci con crema o ricotta, sul gelato e sul
budino. La bellezza e il piacere si mescolano nell’armonia delle cose. C’erano
le vigne lì vicino, una volta. Ci passavano a piedi o sul mulo, lei e le sue
sorelle. E c’era anche un vignaiolo, con una buona dose di mania compulsiva
anche lui. Aveva un sogno, lasciare la sua impronta in quei luoghi. Peppe si
chiamava e voleva, con innesti opportuni o pratiche magiche, far nascere
albicocche senza noccioli. Sorridevano scettici i vecchi, ma i bambini già
pativano l’assenza dei loro piccoli tesori, i mucchietti di noccioli, compagni
di giochi sulla pietra fresca dietro la casa. Metamorfosi, lei sogna,
metamorfosi dell’uomo e delle cose, dinamica di cambiamento del giardino e del
giardiniere. Questo l’affascina e l’ha conquistata dalla prima volta che ha
letto Gilles Clement e la sua teoria del giardino in movimento. E voilà
movimenti all’orizzonte. Si intravvedono da lontano, bianchi cavalieri,
immobili, in attesa sul sentiero delle siepi di rose, forniti di lance
ruotanti. Con le punte aguzze bussano al palazzo di Eolo e chiedono lo stesso
dono offerto a Ulisse. Lo ottengono. Il vento, nuova energia per vivere, non
nascosto nell’otre, ma libero nell’aria a pascolare le nuvole. E la terra
promessa a madri, padri e bambini del futuro? “Non posso perdere tempo” ripete
lei compulsiva, “il piacere mi chiama”.